Alla luce del costante incremento delle infezioni da Covid-19 di origine professionale segnalate all’Inail – per cui, secondo l’ultimo report nazionale elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto pubblicato in data 23/03/2021, le denunce superano quota 150.000, con un incremento nel mese di febbraio di 8.891 rispetto al 31 gennaio – il presente articolo mira a fornire un chiarimento sulle conseguenze del rifiuto di vaccinarsi anche per quelle categorie di lavoratori per cui il rischio di contrazione di Covid-19 in ambito professionale è presunto.
I recenti dubbi sollevati con riferimento ad una potenziale associazione tra una serie di casi di trombosi e il vaccino antiCovid-19 di Astrazeneca – i quali hanno, tra l’altro, condotto le Autorità competenti di diversi Stati Membri dell’Unione Europea a sospendere la somministrazione del vaccino fino alla raccomandazione del Comitato di Farmacovigilanza (PRAC) di EMA (l’Agenzia europea dei medicinali), nella riunione del 18 marzo 2021 che, confermando il favorevole rapporto beneficio/rischio del vaccino antiCovid-19 AstraZeneca, ha escluso la associazione di cui sopra – hanno determinato molti cittadini a disdire le prenotazioni vaccinali, esercitando la libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario consacrata dall’art. 32 della Costituzione: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Detto ciò, sé è vero che una simile determinazione è del tutto legittima ancorché fortemente sconsigliata dalle Autorità, è opportuno soffermarsi sulle conseguenze che detta scelta può generare in ambito assicurativo
A tal proposito, prendendo spunto da una recente presa di posizione in materia dell’Inail con nota del 01/01/2021 in riscontro al quesito formulato dall’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, si ritiene utile principiare dai riflessi della predetta scelta sull’assicurazione obbligatoria gestita dal suindicato Istituto Previdenziale.
Ora – stante l’avvenuto inquadramento con circolare Inail n. 13/2020 delle affezioni morbose da Covid-19 nella categoria degli infortuni sul lavoro – la norma di riferimento è l’art. 2 del D.P.R. n.1124/1965 (T.U. delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali): “L’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni”.
Pertanto, salvo l’ipotesi di infortunio doloso (la cui esclusione dalla tutela previdenziale si desume dall’art. 65 del suddetto decreto, secondo cui non è indennizzabile l’assicurato il quale abbia simulato un infortunio o abbia dolosamente aggravato le conseguenze di esso) e di infortunio conseguente a rischio elettivo (il quale ricorre quando per libera scelta il lavoratore si ponga in una situazione di fatto che l’ha indotto ad affrontare un rischio diverso da quello inerente l’attività lavorativa), l’assicurazione gestita dall’Inail ha la finalità di proteggere il lavoratore da ogni infortunio sul lavoro, anche da quelli derivanti da colpa.
Stante ciò, si può ritenere acclarato il seguente ragionamento sillogistico:
Di contro Il rifiuto di vaccinarsi, concretandosi in un comportamento colposo del lavoratore, può ridurre oppure escludere la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir meno il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così come il diritto dell’Inail ad esercitare il regresso nei confronti sempre del datore di lavoro.
Detta ultima asserzione ha sicuramente conseguenze con riferimento alle garanzie RCO/RCI le quali, stante l’assenza di responsabilità in capo al datore di lavoro, non interverranno.
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